"Pronto? Ciao, sono Franci!... Sì, tutto bene, e tu?... Senti, tua moglie è lì con te? No? Allora, per favore, dille che Herman resta a casa mia, così me lo lavoro ancora un po' per bene prima di passarlo a lei. Dille anche di procurarsi una frusta, perché a Herman piace essere frustato un paio di volte al giorno. Soprattutto la mattina, diglielo a tua moglie, mi raccomando, vedessi come si sveglia con una buona frustata! Dille che se dopo mangiato lo frusta come si deve poi lo vede gonfiarsi fino a raddoppiare di volume. E dille anche di farlo mangiare quando ha fame e di tenerlo bene al caldo, e poi vedrà che se lo cura come si deve Herman può durare
per sempre!"
Circa un anno prima di questa telefonata.
"Ciao, Franci, ti ho portato un regalo e sono sicura che ti piacerà
moltissimo!"
L'amica mi consegna un bicchiere di plastica avvolto in un pezzo di alluminio dal quale straborda, davanti ai miei occhi sbalorditi, un blob appiccicoso e pieno di bolle.
"Su questo foglio c'è scritto come usarlo per fare la
torta di padre Pio, unendo un ingrediente al giorno per dieci giorni. Alla fine lo dividi in quattro parti, tre le regali e con una fai la torta. Appena l'ho visto ho subito pensato a te!"
Chissà come mai!
Porto a casa il blob e seguo alla lettera le istruzioni del foglio.
Versare il blob in una ciotola, coprire con alluminio, unire zucchero, latte e farina, il giorno dopo mescolare, ripetere dopo tre giorni, il decimo giorno dividere il blob in quattro parti e unire a una uova, farina, zucchero, latte, olio, mele, noci, vanillina e una bustina di lievito. Infornare, cuocere, sfornare, servire, mangiare. Regalare le altre tre parti di blob.
La torta, in verità, non è male. Ma possibile, mi chiedo, che per fare una torta di mele servano dieci giorni e tutto questo lavoro?
E poi, che c'entra padre Pio?
Il giorno dopo indago su Google.
E scopro quanto segue.
Primo: padre Pio non c'entra niente.
Qualcuno in rete avanza l'ipotesi che si tratti di una mera operazione commerciale, tendente a legare il nome del santo a qualcosa di molto popolare, al fine di alimentare il
marketing che ruota intorno alla sua figura.
Secondo: il blob appiccicoso e schiumoso è un
lievito che si nutre di farina, latte e zucchero.
Terzo: gli anglosassoni ne vanno pazzi e gli hanno dedicato un
sito Internet, una newsletter e una
pagina Facebook.
E chissà cos'altro ancora.
Quarto: il blob si chiama
Herman the German e ama viaggiare per il mondo passando di mano in mano.
Diventato popolarissimo negli anni Settanta, l'uso più comune che se ne fa è quello di agente lievitante per una torta, chiamata
Herman cake o più familiarmente
Herman. Una cosiddetta
torta dell'amicizia, dato che lo starter, ossia il nostro blob, viene riprodotto e moltiplicato allo scopo di essere regalato, creando così una vera e propria catena, accompagnato da un foglio contenente le istruzioni per curarlo e riprodurlo e la ricetta della torta.
Quinto: per fare la torta non servono dieci giorni. Tutto il lavoro da fare intorno al blob serve a ottenerne una quantità sufficiente a poterne regalare tre parti ad altrettante persone, trattenendone una per preparare la torta.
Sesto: il blob ha una durata indefinita, purché lo si nutra e lo si tenga nelle migliori condizioni.
Sono affascinata.
Irretita.
Stregata!
Davanti a me ci sono una torta di mele e tre vasetti pieni di blob, pronti a partire per il vasto mondo.
Tre vasetti.
Due.
Uno me lo voglio tenere.
Voglio saperne di più.
Voglio sperimentare e imparare.
Solo che adesso non ho tempo di farlo, e se continuo a nutrire
Herman come da istruzioni, mi troverò ben presto con la casa invasa dal blob.
Infilo il vasetto nel congelatore e chiudo lo sportello.
Lo riaprirò dopo dieci mesi.
Per dieci mesi
Herman è rimasto ibernato, imprigionato nel ghiaccio.
Il vasetto contenente il blob era la prima cosa che vedevo ogni volta che aprivo lo sportello del congelatore.
Prendi me!, sembrava che mi dicesse ogni volta.
E ogni volta la mia mano restava sospesa per un attimo...
Solo un attimo.
Lo sportello si chiudeva e
Herman tornava nella sua buia, fredda e lunga notte.
Finché, un giorno...
Mattina del 13 gennaio 2014.
Raduno il branco di neuroni selvaggi che scorrazzano nel mio cervello come cavalli nella steppa e li spedisco in cerca di un'idea per il pranzo.
Uno di loro, all'improvviso, mi lancia una frase esplosiva come una bomba.
La bustina di lievito nell'Herman cake
non serve... Se Herman
è un lievito, deve potercela fare da solo a tirar su una torta...
Poi si volta e scompare nella nebbia.
Resto immobile e stordita per un istante.
Poi, fulmineamente, apro il congelatore e tiro fuori il vasetto con il blob.
"Preparati,
Herman... Io e te stiamo per fare grandi cose!"
Per tre mesi
Herman e io siamo stati inseparabili.
L'ho curato, nutrito, tenuto al caldo, mescolato.
Ho studiato, letto, cercato informazioni, sperimentato.
Il mio obiettivo era quello di risvegliarlo dal criosonno e renderlo attivo e forte abbastanza da far lievitare da solo una torta di mele.
Solo che... non sapevo come fare!
Con pochissime conoscenze sul lievito madre, ho imparato a rinfrescarlo come se fosse stato un licoli.
Ho eliminato lo zucchero dai rinfreschi per poter usare
Herman in preparazioni salate.
L'ho conservato in frigorifero per diminuire la frequenza dei rinfreschi.
Ho provato a impastarlo e ho prodotto due panini immangiabili.
Poi, due panini commestibili.
Poi, due panini buoni.
Poi, un filoncino (che avete visto accompagnare la
minestra verdissima).
Buono da morire.
E infine...
la torta di mele!
Buona, alta, soffice, e con un sapore particolarissimo e mai gustato prima.
Il sapore di un obiettivo tenacemente perseguito e raggiunto nonostante i venti contrari!
La mattina del 22 aprile 2014 ho scoperto con sgomento che
Herman era improvvisamente venuto a mancare durante la notte.
L'odore di aceto che emanava, purtroppo, non lasciava spazio né al dubbio né alla speranza.
Ho detto addio al mio compagno di esperimenti versando lacrime furtive, mentre lo lasciavo andare per sempre nello scarico del lavandino della cucina.
Avrei tanto desiderato avere un altro
Herman.
Gli anglosassoni se lo fanno da soli, mescolando zucchero, latte e farina e usando come starter il lievito di birra.
Ma io, usare il lievito di birra per produrre
Herman, giammai.
L'unica possibilità, aspettare che un altro
Herman bussasse alla mia porta.
Oppure...
31 maggio 2014.
Nel corso del primo
Pasta Madre Day tenutosi in Palude, il marito adotta
Orlando, il licoli che avrebbe successivamente prodotto le
focaccine integrali alle erbe e doppia uva e la
focaccia ripiena in padella, oltre a un buon numero di pizze e di filoni.
Ho cominciato così a studiare e sperimentare il lievito naturale liquido in varie preparazioni salate.
Ma ogni volta che pensavo alla possibilità di usarlo per un lievitato dolce mi tornavano in mente
Herman e il suo particolarissimo aroma, e quella fantastica torta di mele che mi mancava tanto.
Sarebbe meraviglioso se avessi di nuovo il mio Herman
per fare i dolci...
Io ho una teoria: quando si pone un problema, a volte la mente ci offre la soluzione senza che noi nemmeno ci accorgiamo che la stava cercando.
Nel caso di
Herman e dei lievitati dolci, ci ha pensato il Branco!
26 settembre 2014.
Mentre preparo la colazione, un neurone si avvicina di soppiatto e mi sussurra qualcosa in un orecchio.
Herman
è fatto di batteri che mangiano latte, farina e zucchero, no? Usa licoli e yogurt come starter e avrai il tuo Herman
!
Dodici ore dopo,
Hermando bubblava e schiumava allegramente in un vasetto di vetro appoggiato sul coperchio della macchina del pane, sotto i miei occhi amorevoli, stupefatti e felici.
Ventiquattro ore dopo, con l'animo pieno di gioia ed emozione, mangiavo finalmente la
Torta di mele a lievitazione naturale con licoli al latte
questa non è la ricetta tradizionale che accompagna Herman,
ma la mia personale variante
elaborata mettendo insieme la ricetta tradizionale italiana,
la ricetta tradizionale inglese e americana
(entrambe facilmente reperibili in rete)
e le ricette di tutte le torte di mele che ho preparato nella mia vita
Ingredienti per uno stampo rettangolare di 25x19 cm:
2 mele golden
succo di limone
mezzo cucchiaino di cannella in polvere
125 g di zucchero di canna demerara
buccia grattugiata di 1 limone non trattato
2 uova
160 g di Herman (regalato o autoprodotto)
50 g di latte
50 g di olio extravergine d'oliva delicato
200 g di farina 00
50 g di noci
50 g di uvetta
Preparazione:
Mettete l'uvetta a mollo in acqua tiepida per farla rinvenire, poi scolatela, strizzatela, tamponatela con carta da cucina, infarinatela, scuotete l'eccesso di farina e lasciatela da parte.
Mentre l'uvetta rinviene, lavate e sbucciate le mele, tagliatele in 8 spicchi, tagliate ogni spicchio in fettine non troppo sottili, cospargetele con la cannella e il succo di limone e tenetele da parte.
In una ciotola ampia mescolate lo zucchero e la buccia di limone sfregando bene con la punta delle dita, finché lo zucchero non sia tutto impregnato dell'olio essenziale contenuto nella buccia.
Aggiungete le uova e montatele con le fruste elettriche fino a ottenere un composto chiaro e spumoso.
Unite
Herman e, sempre sbattendo, l'olio e il latte.
Aggiungete la farina setacciata, poco per volta, e amalgamatela bene al composto.
In ultimo unite le noci, l'uvetta e le mele e mescolate bene il tutto.
Versate il composto nello stampo imburrato o ricoperto di carta da forno, copritelo con pellicola e lasciatelo lievitare. In teoria dovrebbe lievitare fino a raddoppiare di volume, ma il peso delle mele, delle noci e dell'uvetta lo impedisce. Conoscendo i tempi di "lavoro" di
Herman, ho lasciato lievitare l'impasto 6 ore e mezza (con una temperatura in casa di 20-21 gradi; 4 ore quando ce n'erano circa 25; tutta la notte in inverno, quando la temperatura in cucina scende intorno ai 16-17 gradi).
Cuocete la torta in forno statico preriscaldato a 180° per 30 minuti. Fate la prova stecchino: se il dolce è cotto ma la superficie è ancora chiara (cosa probabile se lo fate basso come il mio) alzate di un livello la griglia del forno e continuate la cottura per circa 5 minuti o poco più, o comunque fino a quando la torta si colora in superficie. Non prolungate la cottura, o la torta si asciugherà troppo.
Sfornate, fate raffreddare per 5 minuti, estraete la torta dallo stampo e lasciatela raffreddare completamente su una gratella per dolci.
Anzi, no: mangiatevela ancora calda e gioite!
Se la storia di
Herman vi ha intrigato, avete due possibilità.
La prima è quella di aspettare che qualcuno si presenti a casa vostra con un bicchierino di blob appiccicoso e un foglio di carta contenente le istruzioni e la ricetta.
La seconda è quella di crearlo come ho fatto io.
In teoria, mescolando farina, latte e zucchero dovrebbe essere possibile avviare una fermentazione come avviene per il comune lievito naturale.
Io ho preferito usare uno starter, cioè un concentrato di batteri già belli e pronti a lavorare per me.
Ingredienti per creare il lievito naturale al latte:
1 cucchiaino di licoli (pasta madre liquida)
1 cucchiaino di yogurt bianco al naturale (appena fermentato
se lo fate in casa, con la data di scadenza più lontana possibile se lo comprate)
1 cucchiaino di farina manitoba (la stessa farina che uso per rinfrescare il mio licoli)
1 cucchiaino di latte
1 cucchiaino di zucchero
L'unità di misura nel caso di Herman
non è il peso ma il volume. Se li avete, usate i misurini americani, o qualsiasi contenitore graduato di piccole dimensioni.
Come procedere:
Mescolate energicamente tutti gli ingredienti in un vasetto di vetro, senza formare grumi. Otterrete un composto piuttosto fluido.
Lasciate il vasetto scoperto, o coperto con un telo leggero, a temperatura ambiente in un luogo riparato.
Dopo 4 ore aggiungete:
1 cucchiaino di farina manitoba
1 cucchiaino di latte
1 cucchiaino di zucchero
e mescolate energicamente.
Ripetete dopo altre 4 ore (ma non è fondamentale rispettare alla lettera le 4 ore, possono essere anche 3 o 5).
Dopo circa 12 ore dall'inizio del processo dovreste iniziare a vedere una o due bollicine sulla superficie del composto, segno che la fermentazione si è avviata.
Sempre tenendo il vasetto scoperto o coperto con un telo leggero a temperatura ambiente, proseguite aggiungendo ogni tanto farina, latte e zucchero in ugual volume. Decidete voi ogni quanto nutrire il vostro lievito, tenendo presente che con il passare del tempo i batteri aumenteranno e impiegheranno sempre meno tempo a metabolizzare il nutrimento che gli darete, se lo dosate sempre nella stessa quantità.
Dopo 24 ore dall'inizio del processo vedrete il lievito iniziare a gonfiarsi e aumentare di volume (procuratevi un contenitore di dimensioni adeguate, perché l'ho visto coi miei occhi triplicare!).
Una volta finita la fase di fermentazione più "spinta", il lievito si affloscerà partendo dal centro della superficie, per poi sgonfiarsi e ritirarsi in un mare di schiuma, implorandovi di nutrirlo... ma continuerà comunque a fermentare, anche se in maniera non così vistosa.
A questo punto avrete un lievito forte abbastanza da mettersi a lavorare sul serio.
Per usarlo, nutritelo e aspettate che si gonfi fino almeno a raddoppiare di volume. Se il lievito dovesse invece andare oltre e sgonfiarsi... beh, a me è successo diverse volte, ma l'ho usato lo stesso e ha sempre fatto il suo dovere! ;o)
Come conservare il licoli al latte:
Le istruzioni di
Herman dicono chiaramente di non mettere il lievito in frigo. In realtà nel frigo, e nel congelatore, ci può anche stare, purché per breve tempo: qualche giorno nel frigo (se doveste allontanarvi da casa e fosse impossibile nutrirlo), un po' di più nel congelatore... ma non lasciatecelo per dieci mesi, o avrete serie difficoltà a riportarlo in attività.
L'ideale è tenerlo a temperatura ambiente, coperto con un panno leggero, in un luogo pulito e riparato, nutrendolo quando la fermentazione rallenta (ricordate la proporzione: pari volume di farina manitoba, latte e zucchero) e mescolandolo energicamente con una frustina una o due volte al giorno.
Tenete presente che la fermentazione è più veloce quando le temperature si alzano. Questo implica che il lievito va nutrito più spesso, e potreste ritrovarvi in breve tempo con una quantità di lievito che eccede ampiamente il vostro bisogno.
Per questa ragione, io preferisco in realtà non conservarlo affatto, producendolo solo quando ho in mente di usarlo e soltanto nella quantità richiesta dalla ricetta che voglio realizzare.
Non tutte le caratteristiche peculiari di
Herman sono evidenti se lo si usa per una ricetta come questa. Il peso stesso dell'impasto, con tutte le mele, le noci e l'uvetta (non ci sono andata certo leggera!), impedisce che si gonfi, se non in cottura.
All'assaggio però si sente subito che c'è qualcosa di diverso.
Nonostante la presenza del lievito naturale e dello yogurt come starter, nel sapore del prodotto finale non si rileva la minima acidità. Al contrario, il lievito conferisce alla torta un gusto particolare e gradevole. Il lievito stesso non ha un odore, né un sapore, acido.
Adoro questa torta di mele, davvero.
Ma una volta ricongiunta al mio adorato lievito, non potevo fermarmi all'
Herman cake.
Ce la fate ad aspettare fino alla
prossima puntata della
Saga di Herman? :D
Herman, visto che sei un viaggiatore, che ne diresti di andare un po' in giro per i blog di cucina, passando da un computer all'altro? ;o)
Questa ricetta partecipa alla raccolta di Novembre 2014 di
Panissimo, raccolta mensile ideata da
Sandra e da
Barbara e questo mese ospitata da Sandra di "
Io sono Sandra".